venerdì 20 maggio 2011
BENELLI 750 sei cilindri
La Benelli Sei è una gamma di motocicli italiani, comprendente la Benelli 750 Sei e la Benelli 900 Sei, dotati di propulsore ciclo Otto, esacilindrico in linea frontemarcia, prodotta dalla Benelli dal 1974 al 1986.È l'inizio degli anni settanta quando l'industriale argentino Alejandro De Tomaso acquisisce la Moto Guzzi e la Benelli, due marchi che possono vantare grande tradizione e prestigio, ma la cui produzione è messa in ginocchio dal successo della concorrenza giapponese.Il mercato italiano delle maxi-moto, un tempo dominato dalle "mezzolitro" monocilindriche di Mandello del Lario, di Arcore e di Pesaro, spadroneggiano ora le super tecnologiche nipponiche.Il piano di De Tomaso per uscire dalla situazione di stallo produttivo è molto semplice: copiare i modelli giapponesi meglio riusciti e migliorarli.La stessa filosofia che i nipponici avevano applicato, nell'immediato dopoguerra, replicando la tecnologia "duetempistica" cecoslovacca delle Jawa e CZ, le soluzioni telaistiche inglesi delle Norton e Triumph ed i motori plurifrazionati italiani della Gilera e MV Agusta, nobili discendenti dalla Rondine.Vale ricordare che, nella seconda metà degli anni ‘60, la medesima operazione era stata messa in atto dalla Moto Laverda che aveva ottenuto un buon successo commerciale con i modelli bicilindrici da 650 e 750 cc, "ispirati" alla Honda CB 77.De Tomaso pensa in grande e decide di attaccare frontalmente le case giapponesi: la gamma Guzzi-Benelli verrà completamente rivoluzionata con l'inserimento di una decina di nuovi modelli, partendo dai ciclomotori e fino ad arrivare alla punta di diamante della produzione: una ‘’750’’ che rappresenti il massimo della tecnologia mondiale.Il programma è particolarmente ambizioso e servirebbero almeno 5 anni di incessante lavoro, solo per progettare i motori ed approntare dei prototipi funzionanti. Fare tutto in un solo anno, come si pretendeva, era pura follia.Per ovviare al problema, De Tomaso escogita una soluzione molto semplice. Per quanto riguarda i motori a 2T, verranno utilizzati progetti esistenti che giacciono nel reparto esperienze Benelli da alcuni anni (i quali daranno origine da un lato alle 50/90/125 monocilindriche, e dall'altro alle 125/250 2C). Per quanto attiene i motori 4T plurifrazionati, ci si dovrà “ispirare” ai propulsori della gamma “Honda Four” che con la sua "CB750 K1" e sorelle minori di “500” e “350” cc, è l'indiscussa regina del mercato.La parola d'ordine è copiare la Honda senza farlo capire e superarla sul fronte dell'immagine tecnologica, se non della sostanza.Ben conscio circa l'importanza, per un prodotto “ludico”, dell'aspetto estetico e della componentistica di livello, De Tomaso affida il design a Paolo Martin responsabile del design Ghia e coinvolge Pirelli, Brembo e Marzocchi per la realizzazione di appositi pneumatici, freni a disco e forcella.È con questa commessa che la “Brembo” realizza i primi freni a disco per motociclo, per la cui produzione diverrà leader mondiale.La parte telaistica non rappresentava certo un problema per le maestranze della Guzzi - Benelli, ma si incontrarono seri problemi per la realizzazione dei propulsori, in quanto i motori plurifrazionati non erano mai stati prodotti in serie dalle due case italiane.Per la progettazione dei motori viene incaricato Piero Prampolini che, a tempo di record, realizza un propulsore di 750 cc, equamente distribuiti nei sei cilindri frontemarcia. Tenuto conto che la componentistica italiana di quell'epoca era assolutamente inadeguata ad affrontare un simile impegno, la creatura di Prampolini è da considerarsi un autentico capolavoro.Sul finire del 1972, viene presentata la Benelli 750 Sei, suscitando un enorme scalpore ed una grande attesa nel popolo motociclista europeo. In realtà, si tratta solamente di un'operazione d'immagine poiché la moto non è ancora pronta per essere prodotta e venduta. Nel frattempo, però, alla Benelli le prenotazioni fioccano, tutti i modelli in produzione hanno un'impennata di vendite e le marche giapponesi, battute sul loro stesso terreno, masticano amaro.Le intenzioni e l'entusiasmo sembravano preludere ad ottimi risultati, tuttavia De Tomaso dovrà fare i conti con la realtà industriale italiana. Inoltre, alcuni problemi deriveranno anche dalla decisione di utilizzare i reparti Moto Guzzi per la produzione dei motori.Quelli non erano i tempi delle macchine utensili computerizzate, del "Just in time" e della globalizzazione. Le parti meccaniche venivano costruite al tornio da maestranze specializzatissime e fortemente fedeli alla marca; silenziose artefici delle vittoriose galoppate dei vari Ubbiali, Lomas, Anderson e Lorenzetti.Convincere gli operai della Moto Guzzi a far girare i loro torni per costruire un motore Benelli non sembrava un'operazione semplice e, forse causato anche dal troppo marcato campanilismo, ne soffrì l'affidabilità del motore che lamentava numerosi problemi alla distribuzione ed al cambio; problemi dovuti anche alla scarsa attenzione nella costruzione delle parti fondamentali, in particolare gli alberi a camme ed i bilanceri: proprio quei pezzi in cui, solitamente, la Moto Guzzi non aveva rivali nel mondo. I problemi principali derivarono dalla scelta di utilizzare acciaio al piombo per le forchette d'innesto. Inoltre la cromatura dei bilancieri veniva realizzata al risparmio e si usurava rapidamente.Protraendosi per oltre due anni, l'attesa di coloro che l'avevano prenotata diventò estenuante e quando finalmente venne loro consegnata si accorsero che, a dispetto dell'interminabile gestazione, la moto presentava una miriade di "difetti di gioventù". Ciò nonostante, il prezzo concorrenziale (L. 2.550.000 su strada) e il prestigio derivante dal possedere l'unica sei cilindri in commercio, contribuirono ad una discreta diffusione.Negativa per il successo commerciale (non certo all'altezza dell'enorme scalpore suscitato con la presentazione) fu, invece, la mancata tempestività produttiva che pose in vendita il veicolo quando l'interesse per le maxi-moto andava scemando. La Benelli 750 Sei restò l'unica moto a sei cilindri in produzione fino all'uscita della Honda CBX 1000, nel 1978.Negli anni di produzione, a molti dei difetti iniziali che affliggevano la "Sei" venne posto rimedio, ma l'ingresso sul mercato della concorrenza nipponica, impose alla Benelli un aggiornamento radicale del modello.Nel 1979 venne proposta la "900 Sei" che, oltre alla maggiore cilindrata, offriva una rivisitazione della ciclistica ed un profondo cambiamento dei canoni estetici che, però, non entusiasmò il pubblico.
Fu probabilmente questa la principale causa, oltre all'innegabile gap tecnologico, che determinò l'insuccesso commerciale della "900 Sei", la cui produzione, tuttavia, si trascinò stancamente fino al 1986.
LE MOTO CAFE-RACER
Le prime Café Racer nacquero in Inghilterra durante gli anni sessanta e divennero presto un fenomeno di costume vero e proprio, che si estenderà anche alla Germania e all'Italia. Lo sviluppo della cultura del Rocker, in cui la motocicletta aveva un ruolo di primo piano, e la nascita delle prime gare clandestine, contribuirono alla propagazione di tale fenomeno. I giovani che possedevano una motocicletta iniziarono a modificarla estesamente, soprattutto a livello di estetica. Il nome Café nasce dagli omonimi locali, davanti ai quali si radunavano i proprietari di Café racer. Di questi, il più noto è l'ancora esistente Ace cafe.Le Cafè racer erano caratterizzate da una serie di modifiche estetiche, atte a valorizzare l'idea di velocità. Gli alti manubri tradizionali erano di frequente sostituiti da bassi semimanubri che ricalcavano quelli usati dalle moto da gara. Il sellone di serie era sostituito da un codino con sella monoposto. A livello tecnico le elaborazioni erano molto semplici, come la sostituzione dei filtri dell'aria con eguali più porosi, o addirittura la loro rimozione, e l'installazione di carburatori maggiorati. L'impianto di scarico era anch'esso oggetto di modifiche. I tubi di scarico erano spesso avvolti da garze, abitudine nata nell'ambiente delle corse per proteggere il pilota quando tali tubi raggiungevano un'elevata temperatura. Il terminale di serie era sostituito da uno a tromboncino, come quelli usati dalle moto da competizione. Questa modifica era spesso accompagnata dalla rimozione del silenziatore. Gli specchietti retrovisori venivano spesso rimossi, oppure modificati per essere installati alla fine del manubrio o al rovescio, particolarità nate proprio su questo genere di moto. Gli ammortizzatori venivano sostituiti da modelli più corti e rigidi. Sebbene aziende specializzate in breve tempo realizzassero cataloghi di componentistica specifica, la maggior parte delle Café racer era realizzata in modo artigianale.
Honda CB 500 Four
La Honda 500 Four è una motocicletta prodotta dalla Honda Motor Co. Ltd. dal 1971 al 1979.
I modelli, tutti caratterizzati da un robusto motore con distribuzione monoalbero di 498 cc di cilindrata, sono il k0 (1971), k1 (1972-1973), k2 (1973-1974) e k3, conosciuto semplicemente come "k" (1975-1979).Non si tratta precisamente della sorella minore della famosa 750, perché il progetto è completamente nuovo. Considerato il successo della 750, in Honda si decise di non badare a spese, e così la cilindrata minore venne progettata con un occhio di riguardo alla leggerezza ed alla distribuzione dei pesi. Il telaio fu riprogettato soprattutto nella parte superiore e, se manteneva sotto al motore la classica struttura in tubi a culla chiusa (caratteristica delle Four), nel raccordo cannotto-telaio risultava decisamente più semplice e faceva largo uso della lamiera stampata. Quanto al motore, esso manteneva il "marchio" tecnologico che aveva azzerato la concorrenza di allora (soprattutto britannica): quattro cilindri in linea, quattro carburatori, quattro scarichi separati, distribuzione a catena in testa.Rispetto alla 750, però, la 500 aveva il serbatoio dell'olio nella coppa (invece di un serbatoio separato) e il comando della frizione a sinistra del cambio. Il risultato fu un risparmio di più di 35 kg ed una linea frontale molto più agile.
In niente dissimile dalla 750 quanto a finiture, fruibilità e qualità dinamiche, la 500 Four divenne in poco tempo una motocicletta molto ambita (soprattutto dai clienti meno convinti dalla maxi-potenza della 750). Grazie poi al robusto e affidabile motore, con componenti meccaniche decisamente sovradimensionate rispetto ai 50 cavalli "di serie", divenne la moto da battere nelle corse per derivate di serie.
La Honda 500 Four non presenta, come tutta la serie Four, alcun difetto meccanico, né patisce alcuno dei problemi tipici delle motociclette degli anni settanta, come i freni scarsi e la tendenza al fading, i trafilaggi d'olio, la scarsa affidabilità elettrica e meccanica.
È da segnalare soltanto, per questo modello, una certa delicatezza del sistema di selettore a forchette del cambio, poiché le stesse presentavano, a volte, usura precoce e anomala in condizioni non ottimali di lubrificazione.
Il dato estetico più significativo e caratteristico della 500 Four, ciò che la distingue dalle altre motociclette della stessa famiglia, sono i 4 scarichi a "tromboncino strozzato", un disegno d'antologia divenuto segno distintivo di questo modello, e mantenuto fino al 1979 (compreso). A partire da tale anno vennero adottati i più moderni scarichi a tromboncino semplice.
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